Prof. Antonio Greco: «Ritratto amaro della politica a Veglie»

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«La politica locale è ridotta solo alla organizzazione del consenso e alla ricerca dei voti»

Lettera del prof. Antonio Greco

Provo a soffermarmi non sui risultati elettorali delle regionali del 23 novembre u.s. (non è questo l’obiettivo di questo scritto) ma sulle letture che, fino ad oggi, esponenti politici locali hanno proposto di tali risultati: il comunicato stampa di Fratelli d’Italia e la frammentata analisi fatta nel Consiglio Comunale del 27 novembre u.s..

  1. Il trionfo degli assenti e le letture interessate del voto

C’è un dato eclatante: il partito di maggioranza è quello dei vegliesi che non sono andati a votare. Alle Regionali del 2020 ha votato il 71,56% degli aventi diritto (circa 12 mila); alle politiche del 2022 ha votato il 55,97%; alle regionali ultime del 2025 ha votato solo il 43,23.

Su 11.988 aventi diritto hanno votato solo 5.182 elettori. Vuol dire che 6.806 vegliesi non sono andati alle urne. Mai successo prima nella lunga storia della democrazia locale.

Ma questo dato storico è scomparso dai radar degli analisti politici locali.

Non è preso in considerazione dal comunicato stampa di FdI, che, invece, inneggia al risultato del partito: “Ottimo risultato elettorale”, “un risultato straordinario… con 1220 preferenze e ribadendo la propria centralità nello scenario politico locale”; che dimentica di segnalare che rispetto alle elezioni regionali del 2020 FdI ha perso 111 voti e che rispetto alle politiche del 2022 ha perso 620 (Senato 1840) e 565 (Camera 1785); che questi voti non sono serviti a Lobuono (sconfitto da De Caro) per governare la regione.  La distanza di tanti vegliesi dalle urne non interessa a FdI, partito pronto, invece, a lanciare una opa sulla prossima amministrazione con un ritorno al passato. Nessuna novità nel metodo, nessun ricambio di figure che da anni (qualcuna da 25) siedono sugli scranni del consiglio comunale.

La maggioranza del CC, per bocca di un assessore, ha dichiarato che “non dispiace perdere [a Veglie] in questo modo, perché vincere a livello regionale è una grande soddisfazione”. È vero che, come affermato dalla presidente del consiglio non vi era all’ordine del giorno l’analisi del voto del 23 novembre, di fatto, però, vi sono stati 5 interventi (due della minoranza e tre della maggioranza) su questo argomento ma a nessuno è venuto in mente di almeno citare il partito di maggioranza degli astenuti.

Forse che l’astensione non solo non interessa ma è voluta e favorita dai guidatori di oggi?

Ho fatto due esempi per dire come la situazione democratica del paese è drammaticamente compromessa. Abbozzo una parziale spiegazione.

  1. Dalla politica al mercato: la Fiera delle promesse

È morta la politica. Meglio: la politica locale è ridotta solo alla organizzazione del consenso e alla ricerca dei voti. Ma questa non è politica. È solo mercato di promesse e di chiacchiere. E siccome, per un motivo o per un altro, si vota quasi ogni anno, non c’è più tempo per fare politica.

La politica locale è una visione a lungo termine (utopia) di un paese in cui nessuno deve rimanere indietro.  La politica locale è la coscienza che, nel suo piccolo, un ente comunale deve incarnare i principi della Costituzione. La politica locale è la capacità di analizzare e porre attenzione prioritaria ai problemi strutturali del vivere sociale, la cui soluzione va affrontata e tradotta in un programma coerente e fattibile. La politica è anche organizzazione del consenso e ricerca del voto. Ma quest’ultimo aspetto senza i primi tre si riduce a mercato e a caccia al voto.

Il mercato elettorale inizia qualche ora prima della presentazione delle liste.

I candidati, scelti e aggregati all’ultimo momento, alcuni “mestieranti politici per vocazione”, molti altri scelti occasionalmente per far numero, senza nessuna gavetta preparatoria, si concentrano solo ed esclusivamente sulla ricerca del consenso e del voto.

Inizia nel paese la Fiera dei Mercanti. Non si vendono stoffe né spezie, ma promesse. Nelle elezioni politiche e regionali i mercanti vengono da fuori (con rare eccezioni), ma sono sostenuti da portaborse locali. In quella comunale, il mercato spesso è intriso di familismo, nepotismo e cultura del favore.

Vince una bassissima percentuale dei partecipanti. Il giorno dopo la fiera, però, chiuso il banco, i vincitori spariscono, fisicamente o di fatto. Le promesse, leggere come carta, si sciolgono al primo vento. Rimane una sola certezza: della fiera è rimasto un penoso spettacolo.

L’anno successivo la fiera si tiene di nuovo. E la folla, sempre di meno, torna a comprare solo parole. Un popolo che vota solo promesse finisce per essere governato dal rumore.

  1. I danni alla democrazia e il dovere della parola

Ecco alcuni dei danni più rilevanti di questo modo di fare politica:

  • ignoranza dei problemi strutturali: i politici sono incentivati a concentrarsi su misure che producono risultati visibili e immediati;
  • promesse non mantenute: la ricerca ossessiva del voto porta a promesse elettorali esagerate o irrealizzabili. Quando queste promesse vengono inevitabilmente disattese, aumenta la disillusione e il cinismo degli elettori;
  • aumento dell’astensionismo: gli elettori disillusi, che si sentono bombardati da discorsi superficiali e promesse vuote, tendono ad allontanarsi dalle urne, indebolendo la legittimità democratica;
  • cristallizzazione del voto: i signori dei voti spingono per un immobilismo elettorale.

L’obiettivo principale di questo modo di fare politica diventa la gestione delle quote di potere e delle alleanze necessarie per mantenerlo, anche con il trasformismo più becero e incoerente.

Non mi si accusi di voler distruggere i partiti. Difendiamo pure i partiti, citati anche nella nostra Costituzione, ma fino a quando vivranno solo come comitati elettorali saranno scheletri senza vita.

Due domande finali:

 “Ma non è ovunque così, non solo a Veglie?”.

Certo. Ma questo non esime dal constatare che a Veglie non manca l’orgoglio per le potenzialità esistenti ma nessuno mette il concime per farle crescere.

“Perché scrivi? E a che serve denunciare in un paese così refrattario alla critica e al cambiamento?”

È una frase che un amico, pur incoraggiandomi, mi dice ogni tanto. Sono convinto che il silenzio complice è peggio, soprattutto quando è sintomo di rassegnazione e di fatalismo, perché non favorirà nessun cambiamento, né per il presente e né per il domani.

29 novembre 2025

Antonio Greco

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