Prof. Antonio Greco: «“Senza Dio”: quando la fede diventa una vertigine»

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Recensione particolare del prof.  Antonio Greco
del brano “SENZA DIO” di STEFANO SIRSI

Non ho competenze per fare il critico musicale. Solo impressioni dopo aver ascoltato “Senza Dio” e letto il suo testo.

Bravi Stefano e Mattia, Giacomo, Matteo e Daniele!

La parola “dio” è terribilmente ambigua, significa cose opposte. È sulla bocca dei politici potenti, di Putin, di Netanyahu, di Trump, della Meloni (solo per fare dei nomi). È sulla bocca dei “filosofi”. È sulla bocca di gente comune, di buoni cristiani, generosi, anche di preti, ma soprattutto di donne: mamme e nonne! È sulla bocca di tanti ragazzi, poi una volta diventati giovani per quasi tutti loro “dio è morto”.

Non possiamo negare che il dio di molti contemporanei, ormai dilagante nelle risposte superficiali e nelle partigianerie, assume, in una sua rappresentazione distorta, la forma di dipendenza o fanatismi settari.

Dio è stato “incamerato” da un sistema di potere, un’entità controllata da regole, dogmi e dai preti. Per molti, quella “dogana” tra l’uomo e il sacro è stata sufficiente a spegnere la fede. Eppure, qualcosa resiste: il desiderio di credere nel Bene, di scorgere nel mondo una luce che nessuna istituzione può monopolizzare.

C’è un filo sottile che unisce la riflessione di chi, pur avendo visto crollare le forme rigide della religione, continua a cercare, e il canto amaro di chi, in una notte di solitudine, si scopre “senza Dio”. In entrambi i casi, non c’è ateismo militante, ma una nostalgia del divino: la consapevolezza che qualcosa si è perduto — forse non Dio, ma l’immagine di Dio che ci avevano consegnato il catechismo o l’ora di religione.

La canzone “Senza Dio” nasce da quella stessa frattura. Non è un canto di ribellione, ma una preghiera rovesciata: chi parla è un’anima che ha smarrito la fede non per scelta ideologica, ma per dolore, per fatica, per disillusione. “Mi chiedo spesso dove è Dio / non so neppure dove sono io” — qui il dubbio non è teologico, è esistenziale. L’assenza di Dio coincide con la perdita di sé.

C’è in questi versi la condizione spirituale di una generazione, o forse di tutte le generazioni che arrivano “dopo la religione che cede sotto i colpi della scienza e della ragione e delle dure esperienze della vita”: chi non riesce più a sentire Dio, ma non può smettere di cercarlo. Lo si sente nel linguaggio delle immagini: la vertigine, l’acqua santa, il vento che “soffia nelle vene”. Il sacro ritorna, ma in forma liquida, laica, fisica. Dio non è più nel tempio, è nel respiro, nel bicchiere, nella lacrima.

Il protagonista si confessa “senza Dio”, ma cerca comunque una salvezza — non quella promessa da un paradiso, ma quella minuscola, umana, che si trova quando qualcuno “resta con me”, quando una presenza umana riaccende il senso. La preghiera si fa carne: “Angelo mio, non lasciarmi la mano”. È il bisogno dell’altro che sostituisce la teologia.

Così, “Senza Dio” racconta una spiritualità ferita ma non morta. È la fede di chi non può più accettare un Dio imposto, eppure non riesce a vivere del tutto senza un orizzonte di trascendenza. È il sentimento, potremmo dire, di chi ha perso la fede ma non ha perso la fame di senso, nascosta tra i versi più disperati. Quando dice: “Ho poesia nascosta tra le nuvole”, quel frammento di poesia è ciò che rimane della fede — non più dogma, ma intuizione del mistero.

In fondo, “senza Dio” non significa “contro Dio”. È una condizione umana di passaggio, come il silenzio tra due parole. Il Dio dei catechismi, dei comandamenti e dei preti è tramontato, ma nel buio resta un’altra luce, più intima e fragile: quella del desiderio, della bellezza, del dolore condiviso.

Forse credere oggi significa proprio questo: non smettere di cercare, anche quando si è smarrito l’oggetto della ricerca.

E allora, “senza Dio” non è una condanna: è il nome di una nostalgia, di una preghiera che ancora non sa di essere preghiera. È prospettiva di un “diversamente ateo”, di chi torna alle radici più profonde del proprio pensiero.

E, almeno per me, non è da poco che gli autori siano vegliesi e salentini.

Senza nessuna enfasi e senza nessuna propaganda commerciale (non conosco nessuno degli autori), “Senza Dio”, con il suo testo e la sua musica, può essere barlume nel gelido panorama culturale locale, ispira vita spirituale di ricerca, è respiro per vivere senza disperare.

Ancora bravi!

18 ottobre 2025

Antonio Greco

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